«I fantasmi che buttano per terra i piatti e rompono gli oggetti?»

Karras annuì. «Questi fenomeni non sono poi tanto infrequenti e di solito si verificano nell'ambiente in cui è presente un adolescente dall'equilibrio emotivo instabile. A quanto pare, una tensione interna tanto forte da attingere il cervello, a volte può scatenare chissà quale energia che ci è ancora ignota, energia che riesce a muovere a distanza gli oggetti che si trovano entro una certa cerchia dalla fonte. In questo non vi è niente di soprannaturale. È come la forza anormale che Regan sembra possedere. In patologia, casi del genere si incontrano spesso. Se vuole, questa energia, può chiamarla supremazia dello spirito sulla materia.»

«Per me è qualcosa di soprannaturale.»

«Be', comunque, l'ossessione non c'entra per niente.»

«Gente, questo è davvero il colmo» mormorò Chris, esausta. «Eccoci qui, io atea, lei un prete, e sono io a...»

Karras non raccolse. Le tagliò la parola in bocca: «La migliore spiegazione di un fenomeno è sempre la più semplice tra tutte quelle che offrono la possibilità di incunearvi logicamente ogni singolo fatto.»

«Senta, padre, magari io sarò un po' tonta» ritorse Chris «ma se mi si racconta che una rotella difettosa nella testa di un tizio qualsiasi può scaraventare dei piatti al soffitto, ci capisco ancora meno. Perciò le domando: che cos'ha mia figlia? In nome del cielo, può spiegarmi di cosa si tratta!...»

«Date le circostanze non poss...»

«Sdoppiamento della personalità... Cosa accidenti è, padre? Parole. Lei le dice, io le ascolto, ma cosa significano? Possibile che io sia tanto stupida? Vuole spiegarmi di cosa si tratta in maniera che io possa finalmente farmelo entrare in testa?» Nei suoi occhi iniettati di sangue, imploranti, era evidente una disperata ansia di capire.

«Guardi, le dirò una cosa: non c'è nessuno al mondo che possa vantarsi di aver sviscerato il problema» rispose il gesuita con gentilezza. «Tutto ciò che sappiamo è che il fenomeno dello sdoppiamento della personalità è avvenuto e avviene. Ma ogni teoria su che cosa ci sia dietro il fenomeno rientra puramente e semplicemente nel campo delle congetture. Per semplificare, possiamo cercare di metterla in un altro modo. Tenga presente che il cervello umano è composto, diciamo... di circa diciassette miliardi di cellule.»

Chris si chinò in avanti, aggrottando la fronte nello sforzo di concentrarsi.

«Ora, se studiamo queste cellule del cervello» continuò Karras «vediamo che esse ricevono all'incirca cento milioni di messaggi al secondo. È questo, pressappoco, il numero di sensazioni che bombardano il nostro corpo. Le cellule non soltanto coordinano tutti questi messaggi, integrandoli, ma lo fanno in maniera perfetta, senza esitazioni e senza intralciarsi l'una con l'altra. Le pare che potrebbero farlo senza una qualsiasi forma di rapporto tra di loro? Evidentemente no. Di conseguenza si prospetta la possibilità che ciascuna di queste cellule abbia una sua propria coscienza. Ora cerchi di immaginare il corpo umano come un enorme transatlantico, va bene? Le cellule del cervello sono l'equipaggio, tutte tranne una, che sta sul ponte di comando e che è il capitano. Ma il capitano non sa mai esattamente che cosa stia facendo l'equipaggio, sottocoperta. Il capitano sa soltanto che la nave procede, segue la sua rotta regolare e che quindi tutto funziona a dovere. E il capitano è lei, signora MacNeil, il suo Io cosciente e vigile. Che cosa avviene, quando si verifica uno sdoppiamento della personalità? Forse si tratta di questo: una delle cellule che stanno sottocoperta sale sul ponte, esautora il capitano e assume il comando. In altre parole, ammutinamento. Sono riuscito a farmi capire? Si orienta meglio, ora?»

Chris lo fissava con occhi sgranati, increduli. «Padre, la faccenda è così nebulosa che per mio conto trovo quasi più facile credere nel diavolo!»

«Allora...»

«Guardi, tutte queste belle teorie e ipotesi per me sono arabo» lo interruppe lei con voce bassa, tesa. «Una cosa voglio dirle, però: lei mi mostri una bambina che sia la copia esatta, identica, di Regan. Stessa faccia, stessa voce, stesso odore, uguale in tutto e per tutto, fino nella maniera come mette il puntino sulla i... Io potrò sempre dirle all'istante che non è mia figlia! Me ne accorgerei immediatamente, lo sentirei nelle mie viscere. E ora le dico che quella cosa là di sopra non è mia figlia! Lo so! Lo sento!»

Si appoggiò alla spalliera, sfinita. «Ora tocca a lei: mi dica cosa devo fare» lo sfidò. «Avanti, mi dica che è certo, matematicamente certo del fatto che in mia figlia c'è soltanto qualcosa che non funziona nel cervello... Che è matematicamente certo che Regan non ha bisogno di essere esorcizzata... Che è sicuro che non servirebbe a niente. Forza! Me lo dica! E mi dica cosa devo fare!»

Per alcuni lunghi, tormentosi secondi, il prete rimase in silenzio. Poi, con voce bassa e piana, rispose: «Sono ben poche le cose di questo mondo delle quali posso dire di essere matematicamente certo».

Sprofondato nella poltrona, tacque ancora, per riflettere. Poi:

«Com'è la voce di Regan? Piuttosto di gola?» domandò. «Normalmente, intendo dire.»

«No. Anzi, direi il contrario, molto acuta.»

«Ritiene che sia una bambina precoce?»

«Niente affatto.»

«Conosce qual è il suo quoziente d'intelligenza?»

«Medio, all'incirca.»

«E le letture preferite?»

«Romanzetti rosa e fumetti, per lo più.»

«Secondo lei, lo stile del linguaggio che la bambina usa adesso è molto differente da quello che le era abituale?»

«Completamente differente. Non ha mai adoperato neanche la metà delle parole che usa attualmente.»

«Non mi riferisco al contenuto di ciò che dice. Parlo dello stile.»

«Lo stile?»

«Sì, la maniera di coordinare le parole.»

«Scusi, ma credo di non capire bene che cosa vuol sapere.»

«Non ha per caso qualche lettera scritta dalla bambina? Qualche compito, un tema svolto? Una registrazione su nastro magnetico andrebbe ancora meglio...»

«Aspetti, sì, devo avere un nastro magnetico» lo interruppe Chris. «Tempo fa aveva cominciato a registrare una specie di lettera parlata per suo padre, ma non è mai riuscita ad andare fino in fondo. Lo vuole?»

«Sì, certo. E vorrei anche la documentazione medica, i referti dei dottori, specialmente quelli della clinica Barringer.»

«Padre, quella strada l'ho già battuta io fino in fondo...»

«Lo so, lo so, ma io ho ugualmente bisogno della documentazione... Per mia scienza.»

«Insomma, lei è ancora contrario a un esorcismo!»

«Sono soltanto contrario al rischio di fare più male che bene alla sua bambina.»

«Sì, però adesso è lo psichiatra che parla, unicamente lo psichiatra.»

«No, anche il sacerdote. Se io mi rivolgo alla Cancelleria apostolica o a non so quale altra autorità competente per chiedere l'autorizzazione di praticare un esorcismo, la prima cosa che dovrò esibire è una sostanziosa documentazione dalla quale emerga in modo chiaro che le attuali condizioni di sua figlia non sono unicamente un problema di natura psichiatrica. In seguito dovrò munirmi di quelle prove atte ad essere accettate dalla Chiesa come segni palesi di possessione.»

«Quali, per esempio?»

«Non lo so. Dovrò informarmi.»

«Sta scherzando? Credevo che lei avesse una competenza specifica, in materia.»

«Signora, scommetto che adesso ne sa più lei, sulla possessione demoniaca, di quanto ne sappia la maggior parte dei preti. Mi dica, piuttosto: quando può farmi avere la documentazione della clinica Barringer?»

«Se occorre sono disposta ad affittare un aeroplano!»

«E il nastro magnetico?»

Chris si alzò in piedi. «Vado subito a prenderlo.»

«Ah, un'altra cosa» soggiunse Karras. Chris si fermò accanto alla sua poltrona. «Quel libro che, a quanto lei mi ha detto, contiene un capitolo sull'ossessione... Si ricorda per caso se Regan ebbe occasione di leggerlo prima che si manifestassero i sintomi della malattia?»

Chris si concentrò per riflettere mentre — con un gesto meccanico — si raschiava gli incisivi con un'unghia. «Ecco, mi pare di ricordarmi... Sì, forse ha letto qualcosa il giorno prima che cominciasse questa fott... questa disgraziata faccenda» si corresse subito. «Sicura non lo sono, però. Non so esattamente che giorno, comunque credo che il libro lo abbia letto. Anzi, anzi, lo ha letto senz'altro... Senz'altro.»

«Vorrei vederlo, questo libro. Può darmelo?»

«Certo. Viene dalla biblioteca dell'università. Vado a prenderlo.» Stava uscendo dallo studio. «Il nastro magnetico dovrebbe essere nel seminterrato, credo, ma lo troverò. Mi aspetti, torno subito.»

Il gesuita annuì distrattamente, come assorto nella contemplazione di un disegno del tappeto. Dopo vari minuti si alzò e a passi lenti uscì nell'ingresso. Rimase là fermo, immobile, nel buio, in un'altra dimensione, il volto di pietra, gli occhi fissi nel nulla, le mani in tasca. Fermo ad ascoltare i suoni che arrivavano fino a lui dal piano superiore: il grugnito del porco, l'ululato dello sciacallo, i singhiozzi, i sibili.

«Oh, è qui, padre? Ero andata nello studio, ma ho visto che non c'era più...»

Karras si girò proprio mentre Chris accendeva la luce.

«Vuole già andarsene?»

Si avvicinò con il rotolino del nastro e con il libro.

«Purtroppo devo ancora preparare gli appunti per la mia conferenza di domani.»

«Ah! Dove?»

«Alla facoltà di medicina.» Con garbo le tolse la bobina e il libro dalle mani. «Cercherò di tornare domani, nel pomeriggio oppure durante la serata, non so esattamente a che ora. Se nel frattempo dovesse succedere qualcosa e lei avesse urgente bisogno di mettersi in contatto con me, mi telefoni. A qualsiasi ora, non importa. Lascerò detto al centralino che mi passino la comunicazione.»

Chris annuì.

Il gesuita aprì la porta. «Per le medicine, come fa?»

«Nessun problema, per ora. Sono tutte ricette che servono più volte.»

«Non vuol proprio chiamare di nuovo il suo medico?»

L'attrice chiuse gli occhi e scosse lentamente la testa.

«Guardi che io non sono un medico generico» l'avvertì Karras.

«Non posso chiamare nessuno» sussurrò Chris. «Nessuno.»

Egli ebbe l'impressione di sentir pulsare l'inquietudine di lei, come onda che flagellasse un lido ignoto.

«Prima o poi sarò costretto a dire a uno dei miei superiori come stanno le cose, specialmente se dovrò venire qui spesso, magari di notte, in ore fuori dal normale.»

«È proprio necessario?» Preoccupata, Chris lo guardò aggrottando le ciglia.

«Eh, sì... La cosa, altrimenti, potrebbe sembrare un poco curiosa, non le pare?»

«Sì, capisco ciò che vuol dire...» mormorò Chris abbassando gli occhi.

«Ma stia tranquilla, dirò soltanto l'indispensabile. E non si preoccupi» soggiunse per rassicurarla «non c'è pericolo che vadano in giro delle chiacchiere.»

Chris alzò il suo volto tormentato, smarrito; negli occhi di Karras fermi e tristi, vide forza, vide dolore.

«Okay» sussurrò, cedendo.

Del dolore si fidava.

«Bene. Arrivederci, allora.»

Il gesuita fece per uscire, ma si fermò sulla soglia, riflettendo, una mano sulle labbra. «Sua figlia sapeva che oggi sarebbe venuto qui un sacerdote?»

«No. Non lo sapeva nessuno.»

«E lei, lei signora MacNeil, sapeva che mia madre è morta non molto tempo fa?»

«Sì. Me ne dispiace molto.»

«E Regan ne era al corrente?»

«Perché?»

«Ne era al corrente?»

«No, assolutamente.»

Egli annuì.

«Ma perché me lo ha chiesto?» ripeté Chris corrugando la fronte, incuriosita.

«Lasci, non ha importanza.» Alzò le spalle. «Un'idea mia...» Le scrutò il volto con una sfumatura di preoccupazione. «Lei, qualche ora di sonno se la prende? Dorme?»

«Un pochino...»

«Si aiuti con un sedativo. Prende il Librium?»

«Sì.»

«Che dose?»

«Dieci milligrammi, due volte al giorno.»

«Aumenti a venti, due volte al giorno. E cerchi di stare lontana da sua figlia. Quanto più le sta vicino, tanto più grande è il pericolo che l'attuale comportamento della bambina alteri in maniera negativa e forse anche definitiva i suoi sentimenti materni. Eviti i contatti per quanto possibile. E allenti la tensione. Se le prende un esaurimento nervoso, potrà essere di ben poco aiuto a sua figlia.»

Scoraggiata, occhi bassi, lei fece cenno di sì con la testa.

«Ora mi faccia un piacere: vada a coricarsi» insistette lui con garbo. «Me lo fa il piacere di andare subito a letto?»

«Sì, va bene» rispose Chris sottovoce. «D'accordo. Promesso.» Lo guardò con l'ombra di un sorriso. «Buona notte, padre. E grazie. Grazie infinite.»

Egli la scrutò per un momento, senza lasciar trapelare nulla dei suoi pensieri. Poi si voltò, scese gli scalini e si allontanò a passo svelto.

Ferma sulla soglia, Chris lo seguì con gli occhi. Mentre egli attraversava la strada le venne in mente che — data l'ora — probabilmente sarebbe rimasto senza cena. E si preoccupò anche che potesse prender freddo, vedendolo srotolarsi le maniche della camicia.

All'incrocio tra la Prospect e la strada contrassegnata con la lettera P, padre Karras si lasciò sfuggire di mano il libro. Si chinò rapidamente per raccoglierlo, quindi svoltò l'angolo.

Quando lo vide scomparire, Chris provò un'improvvisa sensazione di sollievo. E non notò che in una macchina senza contrassegni, ferma poco lontano, c'era seduto Kinderman, solo e immobile come una statua.

Chiuse la porta.

 

Mezz'ora più tardi, Damien Karras tornò nella sua stanza nella palazzina dei gesuiti carico di libri e di riviste, prelevati dagli scaffali della biblioteca dell'università.

Buttò il tutto alla rinfusa sulla sua scrivania e rovistò i cassetti alla ricerca di un pacchetto di sigarette. Finalmente, ne trovò uno mezzo vuoto, che sapeva un poco di muffa. Accese una sigaretta, tirò una lunga boccata e trattenne al massimo il fumo nei polmoni. E intanto pensava a Regan.

Isteria. Ne era certo. Non poteva essere diversamente.

Buttò fuori il fumo, agganciò i pollici alla cintura e abbassò lo sguardo sui libri. La possessione, di T.K. Oesterreich; I diavoli di Loudun, di Huxley; Parafrenia nel caso Haizman, di Freud; La possessione demoniaca e l'esorcismo durante il primo Cristianesimo alla luce delle moderne teorie sulle malattie mentali, di McCasland.

Nelle riviste erano citati dei passi dei diari di Freud: "Una nevrosi di ossessione demoniaca nel 17° secolo" e "La demonologia nella psichiatria moderna".

«Padre, non darebbe un piccolo aiuto a un povero vecchio che da giovane serviva messa?»

Dopo essersi passato la mano sulla fronte Damien Karras si guardò le dita, umide di un sudore denso, appiccicoso. Se le stropicciò disgustato. Accortosi di aver lasciato aperta la porta, tornò indietro per andare a chiuderla. Cercò tra i libri allineati sullo scaffale e tirò fuori un volume rilegato in rosso: la copia di sua proprietà del Rituale Romano, un compendio del cerimoniale delle preghiere.

La sigaretta pendula tra le labbra, gli occhi socchiusi a causa del fumo, sfogliò le pagine finché non arrivò al capitolo delle norme relative all'esorcismo. Cercava quali prove la Chiesa considerasse valide a dimostrazione di un fenomeno di ossessione demoniaca. Prima diede una scorsa, poi rilesse tutto daccapo attentamente.

 

... L'esorcista è tenuto a non ammettere con eccessiva precipitazione che una persona sia posseduta da uno spirito maligno. È tenuto ad accertarsi della presenza di quei segni che distinguono una persona ossessa da altra affetta da qualche malattia, in modo particolare da malattia di natura psicologica. I segni che caratterizzano l'ossessione possono essere i seguenti: capacità di parlare con una certa facilità una lingua sconosciuta o di intenderla se parlata da altri; facoltà di leggere nel futuro e di scoprire avvenimenti misteriosi o lontani; forza fisica eccezionale; capacità che superano le normali possibilità del soggetto tenuto conto dell'età e delle condizioni fisiche dello stesso; numerose altre situazioni, le quali, prese nel loro insieme, possano costituire prova.

 

Dopo aver riflettuto a lungo, Karras lesse le rimanenti istruzioni. Arrivato alla fine, si sorprese a tornare indietro per rileggere l'istruzione numero 8:

 

Alcuni rivelano un delitto che è stato commesso e di conseguenza i colpevoli...

 

Alzò gli occhi. Aveva udito bussare.

Una voce: «Damien?».

«Avanti.»

Era Dyer. «Ciao. Chris MacNeil ha telefonato un sacco di volte. Voleva parlare con te. È riuscita a pescarti?»

«Quando? Questa sera?»

«No, nel pomeriggio.»

«Ah, sì, sì. Le ho parlato.»

«Tutto bene, allora» disse Dyer. «Sai, volevo assicurarmi che tu avessi avuto il messaggio.»

Il pretino formato ridotto gironzolava per la stanza, evidentemente in cerca di qualcosa, ficcando il naso dappertutto, come un ragazzo discolo in un bazar.

«Ti serve qualcosa, Joe?» gli domandò Karras.

«Per caso, non hai dei drops al limone?»

«Cosa?»

«Dei drops, delle caramelle al limone. Sono andato a chiederli a tutti quanti. Niente. Non ne ha nessuno. E io muoio dalla voglia.» Senza smettere di frugare ovunque, borbottò: «Per un anno intero sono stato confessore dei bambini, in un collegio, e alla fine ho preso il vizio delle caramelle al limone. Me l'hanno attaccato loro. Quelle carognette succhiano e ti scaricano addosso l'odore in continuazione, attraverso la grata, insieme con i peccati. Un bel momento diventa come una droga, non puoi più farne a meno». Alzò il coperchio di una scatoletta per il tabacco da pipa nella quale Karras aveva riposto dei pistacchi. «E questi cosa sono? Fagioli messicani disidratati?...»

Karras tornò allo scaffale dei libri e si mise a cercare un volume. «Senti, Joe, io devo...»

«Vero che quella Chris MacNeil è proprio simpatica?» lo interruppe Dyer, lasciandosi cadere sul letto. Vi si distese sopra completamente, mettendosi comodo, le mani allacciate sotto la testa. «Una cara persona. L'hai conosciuta personalmente?»

«Abbiamo scambiato parola» rispose Karras, togliendo dallo scaffale un volume rilegato in verde, intitolato Satana, e un album di articoli pubblicati su giornali cattolici da vari teologi francesi. Portò il tutto sul suo scrittoio. «Scusami, ma io devo proprio...»

«Semplice. Alla mano. Non si dà arie» continuò Dyer, imperterrito. «Penso che potrà esserci utile per realizzare il mio piano, quando noi due butteremo la tonaca alle ortiche.»

«Chi butterà la tonaca alle ortiche?»

«Tutti quanti. Intere mandrie. Il nero è passato di moda. Dunque, io...»

«Joe, devo preparare i miei appunti per domani!» disse Karras, sistemando i libri sulla scrivania.

«Sì, sì, va bene... Dunque, il mio piano è questo: noi due andiamo da Chris MacNeil e le diciamo che io ho pronto un soggetto cinematografico sulla vita di Sant'Ignazio di Loyola. Ti rendi conto? Il titolo è In marcia, coraggiosi gesuiti! e...»

«Vuoi toglierti dalle scatole sì o no, Joe?» sbottò Karras, schiacciando il mozzicone nel portacenere.

«Ti sto annoiando?»

«Devo lavorare, la vuoi capire?»

«E chi te lo impedisce?»

«Su, dico sul serio.» Karras cominciò a sbottonarsi la camicia. «Faccio una doccia alla svelta e poi mi metto al lavoro.»

«A proposito, non ti ho visto in refettorio» disse Dyer alzandosi a malincuore dal letto. «Dove hai cenato?»

«In nessun posto. Non ho mangiato.»

«Che stupidaggine! Regime dimagrante? A che serve? Tanto, con la palandrana mica si vede.»

Si era avvicinato al tavolo.

Annusò una sigaretta. «Muffita».

«Joe, sai se qualcuno qui dentro ha un registratore?» «Qui dentro non c'è nemmeno una caramella al limone.

Vai nell'aula di lingue.»

«Chi ha la chiave? Il padre rettore?»

«No, il padre portinaio. Ti serve questa sera?»

«Sì» rispose Karras, assestando la camicia sulla spalliera

della seggiola dietro la scrivania. «Dove posso trovarlo?» «Vuoi che vada io, a prenderti la chiave?» «Mi faresti questo piacere? Ho il tempo contato.» «Stai tranquillo, Grande e Sapientissimo Stregone Gesuita!

Ci penso io!»

Dyer aprì la porta e uscì.

 

Fatta la doccia, Damien Karras indossò un paio di pantaloni e una camicia sportiva pulita.

Quando prese posto alla scrivania, scoprì tra i libri una stecca di sigarette senza filtro e due chiavi munite di targhette. Su una targhetta era scritto lingue, sull'altra dispensa del refettorio. Attaccato a quest'ultima, un biglietto: Meglio tu che i topi. Karras sorrise, nel leggere la firma: Quello delle caramelle al limone. Mise da parte il biglietto, si tolse l'orologio da polso e lo collocò davanti a sé in modo da averlo bene sottocchio: erano le dieci e cinquantotto di sera.

Cominciò a leggere. Freud. McCasland. Satana. L'esauriente studio di Oesterreich. E finì dopo le quattro del mattino.

Si strofinò il volto con le mani. Si fregò gli occhi. Gli bruciavano. Guardò il portacenere: traboccava di cenere e di mozziconi contorti. Nella stanza gravavano nuvole di fumo. Si alzò in piedi e si trascinò stancamente fino alla finestra. L'aprì. Aspirò a lunghe boccate l'aria fresca e umida del mattino, riflettendo. Regan presentava la sindrome fisica caratteristica dell'ossessione. Di questo era certo. Su questo non aveva il minimo dubbio. Il confronto risultava decisivo. In ciascun caso descritto nei libri — indipendentemente dalla localizzazione geografica e dalla registrazione nel tempo — i sintomi erano sostanzialmente i medesimi. In Regan, alcuni non si erano ancora evidenziati: le stigmate; il desiderio di cibarsi di cose ripugnanti; l'insensibilità al dolore fisico; l'insistente, irrefrenabile, rumoroso singulto. Ma altri erano chiaramente manifesti: l'involontaria agitazione motoria; l'alito pestilenziale; la lingua vellosa; il decadimento fisico; il ventre sporgente; l'irritazione della pelle e delle mucose. Soprattutto era significativa la presenza di quei sintomi basilari, ritenuti fondamentali nei casi catalogati da Oesterreich come ossessione "autentica": la rapida e stupefacente trasformazione della voce e dei lineamenti, l'acquisizione di una nuova individualità.

Karras si scosse e guardò in fondo alla strada. Attraverso i rami degli alberi poteva scorgere la casa, l'ampia finestra della camera di Regan.

Quando il fenomeno dell'ossessione è volontario, come nel caso dei medium, la nuova personalità è quasi sempre benigna. Un esempio classico: Tia, rimuginò Karras. Lo spirito di una donna che si era impadronito del corpo di un uomo. Uno scultore. Lo spirito si faceva presente a intervalli, per tempi molto brevi. Un'ora, ogni volta. Finché un amico dello scultore non se ne innamorò disperatamente. Di Tia. E supplicò lo scultore di permettere allo spirito di mantenere permanentemente il possesso del suo corpo.

Ma in Regan non c'è una "Tia", no! pensò Karras con tetro presentimento. La personalità che aveva preso possesso del corpo di Regan era depravata. Malvagia. E ciò è caratteristico di quel genere di ossessione demoniaca in cui la nuova personalità mira alla distruzione del corpo che la ospita. E spesso vi riesce.

Profondamente depresso, il gesuita tornò alla scrivania, aprì un nuovo pacchetto di sigarette, ne accese una. E va bene: Regan presenta la sindrome dell'ossessione demoniaca. Tu, ora, cosa farai per curarla?

Scosse il fiammifero per spegnerlo. Dipende da che cosa il fenomeno ha avuto origine.

Sedette di traverso sul bordo della scrivania. Rifletté. Le monache del convento di Lille. Ossesse. Nella Francia dell'inizio del secolo diciassettesimo. Avevano confessato ai loro esorcisti che mentre erano in stato di ossessione — e quindi del tutto incapaci di reagire — avevano partecipato sistematicamente ad orge sataniche, alternando i loro rapporti erotici secondo uno schema fisso e prestabilito: lunedì e martedì, copulazione eterosessuale; giovedì, sodomia, fellatio e cunnilinctus con partners omosessuali; sabato, bestialità con animali domestici e dragoni. E dragoni!...

Il gesuita tentennò il capo. A suo avviso, molti casi di ossessione — incluso quello delle monache di Lille — erano una mistura di frode e di mitomania. Altri casi, invece, sembravano causati da malattie mentali: paranoia; schizofrenia; nevrastenia; psicastenia. Sapeva bene che, appunto per questa ragione, per anni e anni, la Chiesa aveva raccomandato all'esorcista di operare in presenza di uno psichiatra o di un neurologo. Ma non tutte le ossessioni avevano cause ben definite. I molti casi nebulosi avevano indotto Oesterreich a considerare l'ossessione come un disturbo mentale a sé stante. E a respingere la definizione adottata dalla psichiatria, quella della scissione della personalità, in quanto egli riteneva detta spiegazione un equivalente altrettanto oscuro dei concetti di "demone" e "spirito di un morto".

Con un dito, Damien Karras si massaggiò la fossetta sotto il naso. Secondo quanto gli aveva detto Chris, i medici della clinica Barringer erano del parere che il disordine mentale di Regan fosse stato causato dall'autosuggestione, da qualcosa che in qualche modo si ricollegava all'isteria.

Il gesuita trovava l'ipotesi verosimile. La maggior parte dei casi che aveva appena studiati doveva aver tratto origine proprio da questi due fattori, ne era assolutamente convinto. Certo. Tanto per cominciare, il fenomeno colpisce quasi sempre soggetti di sesso femminile. E in secondo luogo, l'ossessione assume spesso carattere epidemico. In quanto agli esorcisti, poi...

Karras si oscurò in volto. Molto spesso gli esorcisti diventavano a loro volta vittime della ossessione. Pensò al convento delle orsoline di Loudun, in Francia. Dei quattro esorcisti mandati sul posto per stroncare un'epidemia di casi di ossessione, ben tre — padre Lucas, padre Lactance e padre Tranquille — non soltanto divennero ossessi, ma morirono poco dopo. Di shock, stando alle apparenze. Il quarto, padre Surin — che quando a sua volta manifestò i primi segni dell'ossessione aveva trentatré anni — in seguito impazzì e visse in stato di demenza per tutti i restanti venticinque anni della sua vita.

Damien annuì con un piccolo cenno del capo. Se i disordini mentali di Regan avevano un'origine isterica, se l'instaurarsi dello stato di ossessione era il prodotto di autosuggestione, allora la fonte di questa suggestione poteva essere soltanto il capitolo sull'ossessione del libro sulla stregoneria. Il capitolo sull'ossessione. Regan lo aveva letto davvero?

Karras s'immerse nella lettura.

Tra i fatti descritti nel libro e il comportamento di Regan esistevano elementi di similarità tali da risultare probanti? In caso positivo, forse l'analogia poteva costituire una prova dell'autosuggestione. Forse.

Trovò alcune correlazioni:

... Il caso di una bambina di otto anni, di cui — nel capitolo in questione — si diceva che "muggiva come un toro, con voce tonante di basso profondo". (I bramiti cupi e prolungati di Regan.)

... Il caso di Helene Smith, che era stata presa in cura dal grande psicologo Flournoy. Egli aveva descritto come la sua paziente, con "rapidità fulminea", cambiasse la propria voce e le proprie fattezze in quelle di numerose altre personalità. (Regan lo ha fatto, me presente: la personalità che parlava con accento britannico. Cambio rapidissimo. Istantaneo.)

... Un caso avvenuto nell'Africa del Sud, constatato di persona e riferito dall'illustre etnologo Junod. Secondo il suo racconto, una donna scomparsa una notte dalla propria abitazione fu ritrovata il mattino seguente "legata con sottili liane in cima a un albero altissimo". In seguito era scesa "scivolando lungo il tronco a testa in giù, sibilando e agitando la lingua, fuori e dentro dalla bocca, con movimenti rapidissimi, come un serpente. Prima di scendere del tutto a terra era rimasta là, sospesa per qualche tempo, parlando una lingua sconosciuta a tutti". (Regan mentre tallonava Sharon, strisciando e sibilando come un serpente. Quelle tiritere incomprensibili: un tentativo di parlare una lingua sconosciuta.)

... Il caso dei fratelli Burner, Joseph di otto anni e Thiebaut di dieci. Si descriveva come "essendo essi sdraiati supini, d'improvviso avevano preso a girare come trottole a velocità incredibile". (Molto simile a quando Regan si è messa a girare su se stessa come un derviscio.)

Le analogie non si fermavano qui: ve ne erano altre. Ulteriori motivi per sospettare un fenomeno di autosuggestione: nel libro si faceva riferimento alla forza fisica eccezionale, al linguaggio osceno, agli episodi di ossessione menzionati nei Vangeli, dai quali forse — pensò Karras — avevano avuto origine i curiosi deliri religiosi, riscontrati durante la degenza nella clinica Barringer. Inoltre, nello stesso capitolo, erano descritti i vari stadi caratterizzanti il crescendo dell'ossessione: "... Il primo stadio, l'infestazione, prende di mira l'ambiente dove la vittima vive abitualmente: rumori, odori, oggetti spostati. Il secondo stadio, l'ossessione, consiste in attacchi diretti contro la persona stessa del soggetto: pugni, calci, schiaffi. Maltrattamenti che appaiono come inflitti da un essere vivente e che mirano a creare un'atmosfera di terrore". (I colpi. Gli sballottamenti. Gli assalti di Capitan Howdy.)

Forse..., forse Regan aveva letto il libro. Ma Karras non era convinto. Affatto..., affatto. E Chris? In proposito era sembrata molto incerta.

Il gesuita tornò ad avvicinarsi alla finestra. E allora? Qual è la risposta? Si tratta davvero di ossessione? Di un demone?

Chinò la testa, tentennandola. Non va. Non va.

Fenomeni paranormali? Ma certo, perché no?

Esistevano. Troppi osservatori qualificati li avevano constatati e riferiti. Medici. Psichiatri. Scienziati autorevoli come Junod, per esempio. Già, ma il problema è questo, come vanno interpretati, questi fenomeni?

Tornò a soffermarsi su un episodio narrato nel libro di Oesterreich: protagonista uno sciamano, un sacerdote-medico di una tribù dell'Asia Centrale. Sulle montagne dell'Aitai. Siberia. Postosi volontariamente in stato di ossessione, esaminato in una clinica mentre eseguiva un'azione apparentemente paranormale: levitazione. La frequenza del suo polso, che immediatamente prima dell'esperimento era stata di cento pulsazioni al minuto, dopo la levitazione era balzata a duecento pulsazioni, lasciando tutti stupefatti. Anche la respirazione e la temperatura corporea avevano subito notevoli cambiamenti. Quindi, la sua azione paranormale era collegata con un fatto fisiologico. Traeva origine da qualche ignota energia, insita nel suo corpo. E invece la Chiesa, come prova della effettiva esistenza di un fenomeno di ossessione, esigeva manifestazioni chiare e inequivocabili che lasciassero supporre...

Damien Karras non ricordava bene come era formulata la frase. Controllò. Fece scorrere il dito sulla pagina di un libro aperto sulla sua scrivania. Trovò il paragrafo che cercava:

 

... controllabili fenomeni esterni atti a suggerire l'ipotesi che essi siano dovuti all'intervento eccezionale di un'entità, provvista di intelligenza propria, non identificabile con l'uomo.

 

Questo si poteva applicare al caso dello sciamano? — si chiese il gesuita. No. E al caso di Regan?

Cercò un passo che aveva sottolineato a matita: "...L'esorcista dovrà accertarsi con la massima cura che nessuna delle manifestazioni del paziente venga trascurata nell'esame...".

Karras annuì. D'accordo: vediamo un po'. Misurando a lenti passi la stanza, riesaminò tutte le manifestazioni della malattia di Regan, e insieme tutte le possibili spiegazioni. Nella sua mente, le spuntò una per una.

Lo sbalorditivo cambiamento nei lineamenti di Regan.

In parte la malattia. In parte la denutrizione. Ma soprattutto — concluse — dovuto al fatto che la fisionomia è una espressione della costituzione fisica. Che accidenti vuol dire, questo? Chi lo sa! — commentò tra sé e sé, irritato.

Lo sbalorditivo cambiamento nel tono della voce di Regan.

Tanto per cominciare, la voce di prima, quella autentica, lui non l'aveva ancora sentita. Anche se, come sosteneva la madre, era stata acuta, il continuo urlare poteva aver prodotto un'alterazione delle corde vocali, con conseguente cambiamento della voce su un registro più basso. Qui l'unico problema, pensò, era rappresentato dal volume della voce, di potenza eccezionale. Pur ammettendo l'ispessimento delle corde vocali, il fenomeno — dal punto di vista fisiologico — varcava i confini del possibile. Tuttavia bisognava tener presente che stati d'ansia o condizioni patologiche potevano dare origine a manifestazioni di forza fisica di molto superiore alle possibilità del potenziale muscolare del paziente. Accadeva frequentemente. Non potevano, corde vocali e voce, andare soggette alle stesse misteriose varianti?

L'improvviso ampliamento delle cognizioni e della dotazione di vocaboli nel linguaggio di Regan.

Criptomnesia: il ricordo di parole e di dati da lei uditi nel passato, forse durante l'infanzia, e quindi seppelliti nella memoria. I concetti così sepolti riaffiorano spesso con una nitidezza fotografica nei sonnambuli e, di frequente, anche nelle persone in punto di morte.

Il fatto che Regan lo aveva identificato come un prete.

Facile. Supponendo che Regan avesse letto il capitolo sulla ossessione, la visita di un prete doveva aspettarsela. Del resto, a detta di Jung, la sensibilità, l'inconscia ricettività dei pazienti affetti da isterismo possono, in certi momenti, essere fino a cinquanta volte superiori al normale. E questo spiega anche la "lettura del pensiero" — in apparenza autentica — operata dai medium a mezzo dei tavolini. Ciò che l'inconscio dei medium "legge", in realtà, sono le vibrazioni e i tremiti che le mani delle persone — suppostamente oggetto della lettura del pensiero — trasmettono al tavolino. Le vibrazioni formano una catena di lettere o di numeri. Analogamente, Regan poteva aver "letto" che egli era un sacerdote: dal suo modo di fare, dalle sue mani, dall'odore del vino sacramentale.

Il fatto che Regan era a conoscenza della morte della madre di lui, di Damien.

Facile, lui aveva quarantasei anni.

«Padre, non darebbe un aiuto a un povero vecchio che da giovane serviva messa?»

Nei libri di testo in uso nei seminari cattolici la telepatia era presa in considerazione come un fenomeno reale e naturale.

La precocità intellettiva di Regan.

Dopo aver tenuto a lungo sotto osservazione un caso di "personalità multipla" con annessi fenomeni presumibilmente occulti, lo psichiatra Jung aveva concluso che lo stato di sonnambulismo isterico non soltanto moltiplicava le percezioni sensoriali inconsce del soggetto, ma ne potenziava anche le capacità dell'intelletto. Nel caso in questione, infatti, le nuove personalità apparivano chiaramente molto più intelligenti della prima. Sì, ma Damien Karras si chiedeva se il semplice fatto di constatare un fenomeno avesse valore di spiegazione.

Improvvisamente smise di andare su e giù e tornò alla scrivania. A un tratto gli era balenato nella mente che la allusione a Erode, fatta da Regan nel corso del loro colloquio, era ancor più complicata e più sottile di quanto gli era sembrato a prima vista. Il gesuita ricordava che quando i farisei avevano riferito a Cristo le minacce di Erode, Egli aveva risposto: «Andate a dire a quella volpe: "Ecco che oggi e domani scaccio i demoni..."»

Lanciò un'occhiata al rotolino del nastro magnetico su cui era incisa la voce di Regan, poi, sfinito, si lasciò cadere su una seggiola.

Accese un'altra sigaretta... buttò fuori una boccata di fumo... e ripensò ai due fratellini, ai piccoli Burner. Alla bambina di otto anni che aveva presentato tutti i sintomi inequivocabili dell'ossessione al massimo stadio. Quale libro aveva letto quella bambina, quale libro aveva fornito al suo inconscio gli elementi per simulare i sintomi con tanta perfezione? E come aveva fatto l'inconscio di gente ossessa che si trovava in Cina, per esempio, a trasmettere i sintomi ai vari inconsci di altri ossessi che si trovavano in Siberia, in Germania, in Africa? Tutti questi sintomi non erano forse sempre gli stessi?

«Oh, a proposito, Karras, tua madre è qui dentro, insieme con tutti noi...»

Con occhi che non vedevano, Damien Karras fissò il fumo della sua sigaretta che si alzava in sussurranti volute cariche di memorie. Si appoggiò alla spalliera e guardò il cassetto in basso a sinistra della scrivania. Lentamente tirò fuori un vecchio, sciupato abbecedario. Per adulti analfabeti. Di sua madre. Lo mise sul ripiano e sfogliò le pagine con tenera cura. Lettere dell'alfabeto, ancora lettere, poi gli esercizi più semplici:

 

SESTA LEZIONE

IL MIO INDIRIZZO

 

Tra le pagine, un foglietto: un tentativo di lettera. "Caro Dimmy, ti ho atteso..."

Un altro ancora, poche parole. Soltanto l'inizio. Distolse lo sguardo. Vide gli occhi di lei, fissi sul vano di una finestra..., in attesa...

«"Domine, non sum dignus...

Gli occhi diventarono quelli di Regan... occhi che gridavano... occhi in attesa...

«"Ma di soltanto una parola..."»

Tornò a guardare il rotolino del nastro magnetico.

Lasciò la sua stanza. Andò nell'aula di lingue. Trovò un registratore. Sedette. Collocò il nastro. Si mise la cuffia. Premette il pulsante. Si chinò in avanti e ascoltò. Esausto. Teso.

Dapprincipio udì soltanto il rumore di fondo. Il fruscio dell'apparecchio. Bruscamente, dei colpetti, uno scalpiccìo. Suoni indistinti. «Pronto...» Poi una specie di miagolio. La voce di Chris MacNeil in secondo piano, ovattata:

«Non così vicino, il microfono, tesoro. Tienilo più lontano dalla bocca.» «Così?» «No, di più.» «Così va bene?» «Sì, non muoverlo più. Ora, avanti, parla. Di quello che ti viene in mente.»

Una risatina soffocata. Il microfono che urtava contro qualcosa. Poi la voce chiara, carezzevole, di Regan MacNeil.

«Ciao, papà... Sono io. Ummm...»

Altra risatina, poi un dialogo sussurrato: «Non mi viene in mente niente, mamma...». «Digli come stai, tesoro. Raccontagli tutte le belle cose che abbiamo fatte insieme.»

Altri risolini. «Senti, papà... Ora ti dico... Ma tu mi senti bene? Ecco qui... Dunque, aspetta, eh... Ti volevo dire una cosa... Mmmm... Ah, sì, adesso me lo ricordo... Sai dove siamo, adesso? A Washington! Capisci, papà? Dove c'è il Presidente... E poi in questa casa dove siamo venute a stare, sai, papà... No, aspetta, ora comincio da capo. Papà, qui c'è...»

Il resto, Karras lo udì appena, come da lontano, come soffocato dal cupo fiottare del sangue nelle sue orecchie, mentre un'intuizione travolgente come un'onda oceanica si abbatteva sul suo volto, sul suo petto. La "cosa" che ho visto in quella camera non era Regan!

Tornò alla palazzina. Trovò una cappelletta vuota. Disse messa prima che cominciasse l'affollamento. Mentre alzava l'Ostia nel gesto della consacrazione, la particola tremò tra le sue dita frementi di una speranza che egli non osava sperare, che egli combatteva con ogni singola fibra della sua volontà. «"Perché questo è il Mio Corpo..."» sussurrò con voce tremula.

No, è pane! Questo è pane! Nient'altro che pane!

Non osava amare di nuovo e di nuovo perdere quell'amore. La perdita era troppo grande, il dolore troppo lancinante. Chinò la testa e inghiottì l'Ostia come una perduta illusione. Per un istante gli rimase incastrata nella gola arida.

Finì di dir messa. Saltò la prima colazione. Buttò giù alcuni appunti per la conferenza. Si recò alla facoltà di medicina dell'università. Con voce rauca, sviluppò alla bell'e meglio le note preparate in fretta e furia: «...e nell'esaminare i sintomi di disturbi maniaco-depressivi noterete...». «Ciao, papà, sono io... Sono io...»

"Io" chi?

Karras lasciò liberi gli allievi più presto del previsto e tornò immediatamente nella sua stanza. Chino sulla sua scrivania, mani posate a piatto sul ripiano, riesaminò attentamente la posizione della Chiesa nei confronti dei fenomeni paranormali presentanti le caratteristiche dell'ossessione demoniaca. Non sarò stato troppo sulla negativa? — si chiese. Ripassò i brani più importanti dell'opera Satana: "Telepatia... fenomeno naturale... il movimento degli oggetti a distanza ora considerato sospetto... la possibilità che il corpo emani un fluido... i nostri predecessori... scienza... attualmente dobbiamo essere più cauti... Nonostante le manifestazioni di carattere paranormale, comunque...". Rallentò il ritmo della lettura. "...Tutte le conversazioni con il paziente devono essere attentamente analizzate perché se in esse si evidenziano lo stesso procedimento di associazione di idee e la stessa forma di costruzione delle frasi che il soggetto usa quando è in condizioni normali, l'ossessione deve essere considerata come fortemente sospetta."

Karras era sfinito. Aspirò profondamente. Espirò. Lasciò cadere la testa sul petto. Niente da fare. Non risolve. Guardò l'illustrazione della pagina che aveva sotto gli occhi. Un demone. Distrattamente spostò lo sguardo sulla didascalia a piè di pagina: "Pazuzu". Chiuse gli occhi. Un senso di disagio. Tranquille... S'immaginò la morte dell'esorcista: l'ultimo parossismo... il muggito... il sibilo... il vomito... gli spintoni che dal letto lo avevano scaraventato a terra, l'ira dei suoi "demoni", furiosi perché sapevano che di lì a poco egli sarebbe morto e quindi fuori portata dei loro tormenti. E Lucas! Lucas. Inginocchiato in preghiera a lato del letto. Ma non appena Tranquille era morto, immediatamente, all'istante, Lucas aveva assunto l'identità dei demoni del defunto, si era scatenato prendendo a calci il cadavere ancora caldo, quel misero corpo distrutto, puzzolente di vomito e di escrementi. Malgrado gli sforzi immani di sei uomini robusti che avevano cercato di immobilizzarlo, Lucas non aveva cessato di infuriare sul cadavere finché questo non era stato portato via dalla stanza. Karras vide tutto ciò. Vide chiaramente.

Possibile? Era mai possibile? Concepibile? Possibile che il rito dell'esorcismo fosse l'unica speranza per salvare Regan? Egli, Damien Karras, sarebbe stato dunque costretto ad alzare il coperchio di un cofano colmo di sofferenze?

Non poteva scrollarsi di dosso la responsabilità. Non poteva lasciare la cosa nell'incertezza. Doveva vederci chiaro. Ma come? Riaprì gli occhi. "... Tutte le conversazioni col paziente devono essere attentamente..." Sì, sì, perché no? Se il fatto di scoprire che il modo di parlare, il frasario di Regan e quelli del "demone" erano gli stessi escludeva l'ossessione malgrado le manifestazioni paranormali, di conseguenza... Ma certo!... Una differenza notevole, evidente, innegabile avrebbe dovuto significare che si trattava effettivamente di ossessione!

Ricominciò ad andare avanti e indietro. Che altro? Che altro? Presto, qualcos'altro. Regan... Un momento! Si fermò, gli occhi fissi a terra, le mani allacciate a tergo. Quel capitolo..., quel capitolo del libro sulla stregoneria. C'era qualcosa su... Sì, c'era... Un paragrafo diceva che invariabilmente i demoni reagiscono con furia selvaggia, se si presenta loro l'Ostia consacrata... o reliquie sacre... oppure... L'acqua benedetta! Giusto! Trovato! Andrò da lei e la spruzzerò con acqua del rubinetto! Ma le dirò che è acqua santa! Proprio così! Se lei reagirà come si suppone debbano reagire i demoni in casi del genere, io saprò con certezza che non è ossessa..., che i sintomi sono frutti di autosuggestione... che è stata contagiata da quanto ha letto in quel libro! Se però non dovesse reagire, significherebbe che...

Ossessione autentica?

Forse...

Rovistò febbrilmente tra le sue cose in cerca di una ampolla, una di quelle usate per l'acqua benedetta.

 

Fu Willie ad aprirgli la porta. Appena entrato, il gesuita guardò in su, verso la camera di Regan. Grida. Turpiloquio. Ma non con la voce aspra, gutturale del demone. Un'altra voce. Più leggera. Irritata. Un inglese perfetto... Sì!... La personalità apparsa fuggevolmente quando lui era stato da Regan il giorno prima.

Karras abbassò lo sguardo. Willie, in attesa, lo fissava stupita. Guardava il suo collarino da sacerdote cattolico, la sua veste talare. «Dov'è la signora MacNeil?» le domandò il gesuita sottovoce.

Con un cenno, Willie indicò il piano superiore.

«Grazie.»

Si avviò verso la scala. Salì. Vide Chris in corridoio, seduta su una seggiola accanto alla porta della camera di Regan, braccia conserte, mento poggiato sul petto.

Chris udì il fruscio della sottana quando egli le si avvicinò. Sollevò gli occhi e subito si alzò in piedi.

«Buon giorno, padre.»

Le sue occhiaie erano violacee. Karras si rabbuiò. «Ha dormito?»

«Un pochino.»

Egli tentennò la testa come a sgridarla.

«Non ho potuto» disse Chris con un sospiro, facendo un cenno con la testa per indicare la camera di Regan. «È andata avanti così tutta la notte.»

«Ha anche vomitato?»

«No.» Prendendolo per una manica cercò di allontanarlo. «Venga, scendiamo dabbasso, così potremo...»

«No, vorrei vedere la bambina» la interruppe Karras con gentilezza. Oppose resistenza alla mano che, con insistenza, tentava di allontanarlo dalla porta.

«Adesso, subito?»

Il gesuita pensò che doveva essere sorto un fatto nuovo. Chris aveva l'aria particolarmente tesa, spaventata. «Perché non adesso?» chiese.

Lei lanciò un'occhiata furtiva verso la porta. Dall'interno arrivò lo scoppio della voce irata, furiosa: «Maledetto naaaazista! Fottutissimo nazista!».

Chris sviò lo sguardo. Poi, a malincuore, fece un cenno. «Vada pure... Entri.»

«Signora, lei ha un registratore, vero?»

Gli occhi di lei frugarono quelli del sacerdote. Guizzi rapidi come colpi di frusta.

«Le dispiace farmelo portare nella camera di Regan con un nastro nuovo, per piacere?»

Chris aggrottò le sopracciglia. «Per farne che?» domandò. Poi, allarmata: «Cosa?... Vorrebbe registrare...?»

«Sì, è importan...»

«Padre, mi dispiace, ma non voglio!»

«Mi serve per fare un confronto tra il linguaggio di prima e quello di adesso» la interruppe Karras con fermezza. «Signora, la prego! Al punto in cui siamo, non ha scelta... Deve aver fiducia in me!»

Entrambi si girarono di scatto verso la porta: come scacciato da un corrosivo flusso di atroci invettive, Karl stava uscendo precipitosamente dalla stanza di Regan. Aveva in mano un fagotto di biancheria sporca, puzzolente: lenzuola, mutandine. Il suo volto funereo era color della cenere.

«Gliele hai messe, Karl?» domandò Chris, mentre il domestico si chiudeva la porta alle spalle.

Karl lanciò una rapida occhiata al gesuita, poi a Chris. «Sì, tutto a posto» disse. Senza aggiungere altro, si avviò verso la scala che conduceva a pianterreno.

Dopo averlo seguito con gli occhi, Chris tornò a voltarsi verso il sacerdote.

«Va bene» mormorò sottovoce. «Okay. Le mando su il registratore.» Bruscamente si allontanò lungo il corridoio.

Per un istante il gesuita rimase a guardarla. Perplesso. Nell'atmosfera c'era qualcosa di misterioso. D'un tratto notò il silenzio. Nella camera da letto tutto taceva. Ma non durò a lungo. Ecco l'ululato di una sghignazzata diabolica.

Karras fece un passo avanti. Toccò l'ampolla che aveva in tasca. Aprì la porta ed entrò nella camera di Regan.

Il fetore era ancora più mefitico del giorno prima. Chiuse la porta. Guardò. Quell'orrore!... Quella "cosa" sul letto...

Si avvicinò. La "cosa" lo fissava con occhi beffardi. Colmi di astuzia. Colmi di odio. Colmi di potenza. Tirò su le gambe, puntando i piedi sul letto.

«Ciao, Karras.»

Il gesuita udì il disgustoso tambureggiare di gas intestinali, di una scarica diarroica nelle mutandine di plastica.

«Ciao, diavolo» rispose con calma, fermandosi ai piedi del letto. «Come va, come ti senti?»

«Ora come ora, mi sento molto felice. È una gioia, rivederti.» Gli occhi scrutavano con insolenza il sacerdote, la lingua gonfia pendeva fuori dalle labbra. «A quanto vedo ti sei messo in alta uniforme. Molto bene.» Un'altra scarica. «Spero che un po' di puzza non ti disturbi, eh, Karras?»

«No, affatto.»

«Sei un bugiardo!»

«Ti secca?»

«Leggermente.»

«Ma al diavolo i bugiardi piacciono.»

«Soltanto quelli che ci sanno fare, diletto Karras, soltanto quelli.» Un sogghigno. «E poi chi ha detto che io sono il diavolo?»

«Tu, mi pare.»

«Ah, può darsi. Può darsi. Non sto tanto bene. E tu mi hai creduto?»

«Naturalmente.»

«Allora ti faccio le mie scuse.»

«Con questo vuoi dire che non sei il diavolo?»

«Non sono che un povero demone. Un diavolo. C'è una sottile differenza. A proposito, Karras, non gli dirai niente, vero, del mio lapsus linguae, quando lo vedrai?»

«Lo vedrò? È qui?» domandò il gesuita.

«Nella porcella? Neanche per sogno! Qui dentro ci siamo soltanto noi, una povera famiglia di spiriti erranti, amico mio. Non sei mica in collera con noi perché siamo qui dentro, vero? In fin dei conti non sappiamo dove andare. Siamo dei senza tetto.»

«E per quanto tempo avete intenzione di trattenervi?»

La testa si alzò di scatto dal cuscino, i lineamenti contorti da una rabbia selvaggia. «Finché la porcella non morirà!» Ma immediatamente, con fulminea rapidità, il volto di Regan tornò al ghigno beffardo, colando bava dalle labbra tumefatte. «Sia detto per inciso, Karras, ma non è vero che oggi sarebbe proprio la giornata buona per un esorcismo?»

Il libro! Doveva aver letto il libro!

Gli occhi sardonici trapassavano il prete da parte a parte. «Sai, dovresti cominciare alla svelta. Quanto più presto puoi.»

Incoerente. Qualcosa non quadrava. «Perché, ti piacerebbe?» Karras corrugò la fronte.

«Immensamente.»

«Ma, scusa, l'esorcismo non ti costringerebbe a lasciare Regan?»

Il demone rovesciò la testa, ghignando mostruosamente. S'interruppe per rispondere, con voce gutturale: «Ci riunirebbe, mio caro!»

«Te e Regan?»

«Te e noi, amico mio» gracchiò il demone. «Te e noi!» Dal profondo di quella gola, un riso soffocato.

Karras sbarrò gli occhi. Sentì sulla nuca il tocco di mani leggere. Mani gelide. Lo sfiorarono appena, poi più niente. Frutto della paura, pensò. Paura.

Paura di che?

«Sì, anche tu entrerai a far parte della nostra famigliola, Karras. Vedi, mio caro baciapile, il guaio dei segni in cielo è che, una volta visti, uno non ha più scappatoie. Hai notato che oggigiorno si sente parlare molto poco di miracoli? La colpa non è nostra, Karras, non prendertela con noi. Noi facciamo del nostro meglio!»

Un rumore secco, improvviso, alle spalle di Karras. Egli girò la testa di scatto: uno dei cassetti del comò si era aperto da solo, scivolando fuori quasi del tutto. Al vederlo richiudersi con un tonfo, altrettanto bruscamente, il gesuita provò un senso di crescente eccitazione. Ecco una prova! Subito, però, la sua emozione cadde, sbriciolandosi come un pezzo di corteccia d'albero putrida: effetto psicocinetico. Udì un riso sommesso. Tornò a guardare Regan.

«Come è gradevole fare due chiacchiere con te, Karras» disse il demone, ghignando. «Mi sento libero. Come il vento. Spiego le mie grandi ali e folleggio. Nota che col dirti queste cose non faccio altro che dare incremento alla tua dannazione, mio caro dottore, mio caro e inglorioso dottore!»

«Sei stato tu? Sei stato tu a far aprire e chiudere quel cassetto?»

Il demone non lo ascoltava. Fissava la porta tendendo l'orecchio, attento. Un rumore di passi in corridoio. I suoi lineamenti subirono una fulminea trasformazione, ed ecco apparire l'altra personalità. «Maledetto bastardo sanguinario!» urlò, e la sua voce rauca aveva di nuovo il sofisticato accento britannico. «Fottutissimo unno!»

Entrò Karl. Si avvicinò a passi rapidi, posò il registratore accanto al letto e senza guardare Regan uscì immediatamente dalla stanza.

«Fuori, Himmier! Non farti mai più vedere da me! Va via, vai a trovare quella tua figlia con il piede equino! Portale dei sauerkraut! Crauti ed eroina! Thorndike! La farai felice! Lei...»

Chiuso. Uscito Karl, di colpo la "cosa" che era in Regan si fece cordiale. Osservò interessata Karras che apriva il registratore, cercava una presa, inseriva la spina, collocava il nastro.

«Oh, guarda, guarda, guarda! Cosa succede di bello?» esclamò allegramente. «Vogliamo registrare qualcosa, padre? Che spasso! Io adoro recitare, sai? Mi piace immensamente!»

«Io sono Damien Karras» disse il prete mentre finiva di approntare l'apparecchio. «E tu chi sei?»

«Che è, dottore, vuoi che ti mostri le mie credenziali, adesso? Una bella sfrontatezza, da parte tua!» Un riso soffocato in gola. «Ho fatto la parte di Puck, quando ero alle elementari.» Si guardò intorno. «A proposito, amico Karras, non si beve?... Dammi un drink. Ho la gola riarsa.»

Il gesuita posò con cura il microfono sul comodino.

«Se mi dici il tuo nome, cercherò di procurartelo.»

«Sì, figuriamoci...» disse la "cosa" con un risolino divertito. «Te lo berresti tu, invece, ci scommetto.»

«Dimmi il tuo nome» insistette Karras, mentre premeva il pulsante per azionare il registratore.

«Fottutissima sanguisuga!» fu la violenta risposta.

La personalità con accento inglese scomparve istantaneamente per lasciar posto al demone.

«Allora, che si fa, Karras? Vuoi registrare la nostra conversazioncella?»

Karras sussultò. Spalancò gli occhi. Poi portò una seggiola vicino al letto e sedette.

«Ti rincresce?» domandò.

«Per niente» gracchiò il demone. «Ho sempre avuto un debole, io, per gli aggeggi infernali.»

D'improvviso, un puzzo differente, molto greve, salì alle nari del gesuita. Un odore di...

«Crauti, Karras. Hai notato?»

È vero, un puzzo di crauti. Damien Karras era stupefatto. L'odore sembrava provenire dal letto, dal corpo di Regan. Poi, d'improvviso com'era venuto, l'odore sparì, subito rimpiazzato dal fetore nauseabondo di prima. Il gesuita aggrottò la fronte. Me lo sono immaginato? Autosuggestione? Pensò all'acqua santa. Adesso? No, aspetta, prima registra qualche altra cosa, in modo da avere più elementi di giudizio.

«Con chi ho parlato prima?» domandò.

«Uno della famigliola, Karras.»

«Un demone?»

«Ora gli fai troppo credito, non lo merita.»

«Cioè?»

«La parola "demone" significa genio sovrumano. Lui invece è stupido.»

Il gesuita s'irrigidì. «In che lingua "demone" significa genio sovrumano?»

«In greco.»

«Tu parli il greco antico?»

«Speditamente.»

Uno dei segni! Karras sentì aumentare l'eccitamento. Il soggetto parla lingue sconosciute! Era più di quanto avesse sperato! «Pos egnokas hoti presbyteros eimi?» domandò immediatamente in greco classico.

«Lasciami perdere. Oggi non ne ho voglia, Karras.»

«Ah, allora non è vero che sai...»

«Non ne ho voglia!»

Delusione. Il gesuita tornò a rimuginare. «Sei stato tu a fare aprire il cassetto?» domandò.

«Ma certamente.»

«Sbalorditivo!» Karras annuì. «Devi essere davvero un demone molto, molto potente.»

«Lo sono.»

«Non lo faresti un'altra volta?»

«Un altro giorno.»

«No, via, subito, per piacere! Mi piacerebbe proprio vedere nuovamente.»

«Un altro giorno.»

«Perché non ora?»

«Dobbiamo pure fornirti alcune ragioni per dubitare» gracchiò la "cosa". «Alcune. Quanto basta per garantirci l'esito finale.» Rovesciando la testa, emise un cachinno sarcastico. «Espugnarti dicendoti la verità!... Per un demone, un metodo splendidamente insolito! Oh, che bellezza!»

Mani glaciali, una leggera carezza sulla nuca. Il gesuita fissò lo sguardo nel vuoto. Perché di nuovo la paura? Paura? Era veramente paura?

«No, la paura non c'entra» disse il demone. Ghignava. «Ero io.»

Scomparso il tocco delle mani. Karras aggrottò la fronte, sempre più stupito. Cercò di sviscerare. Telepatia? Oppure Regan è davvero...? Accertarsene. Accertarsene subito. «Sei in grado di dirmi cosa sto pensando in questo momento?»

«I tuoi pensieri sono troppo noiosi. Non mi divertono.»

«Insomma, tu non puoi leggermi nella mente.»

«Mettila pure così, se preferisci..., se lo desideri.»

L'acqua benedetta? Ora? Il ronzio del registratore attirò la sua attenzione. No. Continua a scavare. Falla parlare, raccogli altri esempi del suo linguaggio. «Sai che ti trovo affascinante?» disse Karras.

Regan chiocciò col riso in gola.

«Davvero» proseguì il gesuita. «Mi piacerebbe sapere qualcosa di più, di te, del tuo ambiente... Per esempio: non mi hai ancora detto chi sei.»

«Un diavolo» gracchiò il demone.

«Sì, lo so, ma quale diavolo? Qual è il tuo nome?»

«Andiamo, Karras, che cos'è un nome? Lascia perdere il mio nome. Chiamami Howdy, se ti fa comodo.»

«Ah, sì, Capitan Howdy. L'amico di Regan.»

«Un grande amico.»

«Davvero?»

«Te l'assicuro.»

«Ma allora, perché la tormenti?»

«Perché sono suo amico. Alla porcella piace.»

«Le piace?»

«Ne va matta!»

«Ma perché?»

«Domandalo a lei.»

«Le permetteresti di rispondermi?»

«No.»

«Allora a che serve che io glielo domandi?»

«A niente!» gracchiò il demone, con gli occhi che sprizzavano odio.

«Chi era quella persona con la quale io parlavo prima?»

«L'hai già chiesto.»

«Lo so, ma tu non mi hai risposto.»

«Un altro buon amico della dolce, adorabile porcella, mio caro Karras.»

«Potrei parlare con lui?»

«No. È occupato. Sta con tua madre. Glielo sta succhiando fino ai peli. Karras! Fino alla radice!» Dopo aver emesso alcuni cachinni in sordina, soggiunse: «Una meraviglia, la lingua di tua madre! E la bocca! Perfetta!».

Il sarcasmo lampeggiava nei suoi occhi.

Damien Karras si sentì scuotere da capo a piedi da un'ondata di collera selvaggia. Un attimo, e con un sussulto si rese conto che il suo impeto d'odio non aveva per oggetto Regan, ma il demone. Il demone! Che te la sei portata a fare quell'acqua benedetta, Karras? Con uno sforzo riuscì a non perdere la calma. Aspirò profondamente, si alzò in piedi e tirò fuori l'ampolla dalla tasca della sottana. Tolse il tappo.

L'espressione del demone si fece diffidente. «Cos'è quella roba?»

«Non lo sai?» domandò Karras mentre, col pollice premuto sulla imboccatura della fiala per limitarne il flusso, spruzzava gocce sul letto e su Regan. «È acqua santa, diavolo.»

All'istante il demone si rannicchiò su se stesso, contorcendosi convulsamente, come trafitto da spasimi dolorosi, urlando il suo terrore. «Brucia! Brucia! Ahi, che male!... Basta, smettila, bastardo di un prete! Smetti!»

Il volto di pietra, il gesuita smise di spruzzare. Isterismo. Autosuggestione. Indubbiamente Regan ha letto il libro. Guardò il registratore. Ormai inutile perdere tempo.

Lo colpì l'improvviso silenzio. Guardò Regan. Aggrottò le sopracciglia. Che è? Che cosa sta succedendo? La personalità demoniaca era scomparsa; al suo posto ne era subentrata un'altra, i cui lineamenti erano somiglianti. E tuttavia differenti. Gli occhi si erano rovesciati nelle orbite, si vedeva soltanto il bianco. Ora aveva cominciato a mormorare. A voce bassissima. Una specie di tiritera incomprensibile, febbrile. Karras si avvicinò al capezzale, si chinò per ascoltare meglio. Che cosa dice? Non sono parole. Eppure... C'è una cadenza... Si direbbe una lingua sconosciuta. Possibile?... Sentì nello stomaco lo sbattere di ali invisibili; le afferrò, le costrinse all'immobilità. Andiamo, non essere tanto idiota! Eppure...

Guardò la spia luminosa del volume del registratore. Non lampeggiava. Premette il pulsante dell'amplificazione e avvicinò l'orecchio alle labbra di Regan. Ascoltò attentamente: la tiritera di suoni senza senso cessò, sostituita da una respirazione profonda, rantolosa.

Il gesuita si rialzò. «Chi sei?» chiese.

«Onussen» rispose l'entità. Gemiti sussurrati. Mugolii di dolore. Il bianco degli occhi. Le palpebre palpitanti di fremiti. «Onussen.» La voce lamentosa, incrinata, così come l'anima dell'essere cui apparteneva, sembrava imprigionata in uno spazio scuro e angusto, al di là del tempo.

«È questo il tuo nome?» chiese Karras cupo in volto.

Le labbra si agitarono febbrilmente. Sillabe sussurrate. Incomprensibili. Poi più niente.

«Riesci a capire ciò che ti dico?»

Silenzio. Soltanto la respirazione. Profonda. Stranamente ovattata. Il suono irreale del sonno sotto la tenda a ossigeno.

Il sacerdote aspettò, sperando in un seguito.

Non accadde altro.

Riavvolse il nastro, tolse la bobina, mise a posto il microfono, chiuse il registratore. Diede un'ultima occhiata a Regan. Era perplesso. Non sapeva cosa pensare. Combattuto, incerto, uscì dalla stanza e scese dabbasso.

Trovò Chris in cucina, seduta al tavolo insieme con Sharon. Entrambe profondamente abbattute, stavano bevendo del caffè. Vedendolo entrare, lo guardarono con occhi colmi di ansiosi interrogativi.

Sottovoce, Chris a Sharon: «Ti rincresce andare un poco di sopra, da Regan?».

La segretaria ingoiò un ultimo sorso di caffè, salutò Karras con un lieve cenno del capo e lasciò la cucina.

Il gesuita sedette al posto di Sharon, con gesti lenti che rivelavano la sua stanchezza.

«Allora?» domandò Chris, cercando di leggergli negli occhi.

Damien Karras stava per risponderle, ma si trattenne vedendo uscire Karl dalla dispensa. Il domestico andò all'acquaio, si mise a lavare delle stoviglie.

«Non fa niente» disse sottovoce Chris, che aveva seguito lo sguardo del gesuita. «Può parlare. Come è andata?»

«Si sono manifestate due personalità che non avevo ancora viste. No, veramente una credo di averla vista ieri, ma soltanto per un momento: quella che parla con accento britannico. È qualcuno che lei conosce?»

«È importante...?» domandò Chris.

Sul volto, Karras le lesse di nuovo quella tensione particolare. «È importante, sì.»

Lei abbassò gli occhi e annuì. «Sì, è qualcuno che conoscevo...» sussurrò.

«Chi?»

Chris sollevò lo sguardo. «Burke Dennings.»

«Il regista?»

«Sì.»

«Quel regista che è...»

«Sì» rispose Chris, tagliandogli la parola in bocca.

Per qualche tempo, il gesuita rifletté sulla risposta in silenzio. Notò il tic che agitava l'indice di lei.

«Prende una tazza di caffè, o qualcos'altro, padre?»

Egli scosse la testa. «No, grazie.» Poggiando i gomiti sul tavolo, si sporse in avanti. «Regan lo conosceva?»

«Sì.»

«E...»

Un rumore improvviso, fragoroso, metallico.

Spaventata, Chris sussultò. Si voltò. Vide Karl che, avendo lasciato cadere a terra un tegame, si era chinato per raccoglierlo. Se lo lasciò sfuggire una seconda volta di mano.

«Dio santo, Karl!»

«Chiedo scusa, madame.»

«Senti, Karl, fai una cosa: esci, vai fuori, vai al cinema, vai dove ti pare! Non possiamo stare tutti eternamente ammucchiati in questa casa!...» Si voltò verso Karras e prese in mano un pacchetto di sigarette.

«No, io non vado! Io bado a...»

Chris sbatté sul tavolo con violenza le sigarette e, aspramente, alzando la voce, ma senza girarsi a guardarlo: «Karl, non fartelo ripetere una seconda volta... Esci! Vai a prendere una boccata d'aria, stai fuori per un po'! Tutti noi dobbiamo uscire, di tanto in tanto, da oggi in poi. Su, su, vai!».

«Sì, vai» fece eco Willie, che entrava in quel momento in cucina. Strappò il tegame dalle mani di Karl. Prendendolo per le spalle, spinse nervosamente il marito verso la porta della dispensa.

Prima di uscire dalla stanza, Karl Engstrom si voltò per lanciare un rapido sguardo a Chris e a Karras.

«Mi scusi, padre» mormorò l'attrice mortificata, prendendo una sigaretta. «Sa, in questi ultimi giorni Karl ha dovuto sopportare parecchio...»

«Ma lei ha ragione, signora» disse Karras con gentilezza.

«Tutti voi dovreste fare uno sforzo e uscire, ogni tanto.» Prese i fiammiferi. Le accese la sigaretta. «Anche lei.»

«Allora? Che cosa ha detto Burke?»

«Soltanto sconcezze» rispose lui con un'alzata di spalle.

«Nient'altro?»

Nel tono di lei, egli colse un lontano pulsare di paura. «Una dose piuttosto abbondante» le precisò. Poi, abbassando la voce: «A proposito, Karl ha una figlia?».

«Una figlia? No. Che io sappia, almeno. In ogni caso, non ne ha mai parlato.»

«Ne è sicura?»

Chris si voltò verso Willie, che stava risciacquando le stoviglie, davanti al lavello. «Willie, vero che non avete figli?»

«Una figlia, signora. Morta. Tanto, tanto tempo fa.»

«Oh, mi dispiace.»

Si rigirò verso Karras. «È la prima volta che ne sento parlare» sussurrò. «Perché me lo ha chiesto? Come faceva a saperlo?»

«Regan. È stata Regan a parlarne.»

Chris sgranò gli occhi.

«Sua figlia ha mai dato segno di possedere percezioni extra sensoriali? Prima, intendo dire.»

«Be'...» Chris esitò. «Non saprei con esattezza. Forse, ma non ne sono sicura. Per la verità è successo un sacco di volte che Regan pensasse la stessa cosa che pensavo io in quel momento, ma tra persone molto unite è un fatto che si verifica spesso, non è vero?»

Karras annuì. Ci pensò sopra. «Come le ho detto, oggi sono emerse due nuove personalità. Forse la seconda è la stessa che è comparsa durante l'ipnosi?»

«Quella che dice sillabe senza senso?»

«Sì. Chi è?»

«Non lo so.»

«Non ha nemmeno un'idea?»

«Assolutamente no.»

«Ha chiesto la documentazione medica alla clinica?»

«Arriverà oggi nel pomeriggio, per via aerea. L'ho fatta mandare direttamente a lei, padre.» Bevve un sorso di caffè. «Soltanto in questa maniera sono riuscita a strappargliela. E anche così, non è stato facile. Ho dovuto fare il diavolo a quattro.»

«Me lo immaginavo che sarebbero sorte delle difficoltà.»

«E quante! Ma l'ho spuntata.» Altro sorso di caffè. «Padre, mi dica: lo fa questo esorcismo?»

Egli abbassò gli occhi, sospirò. «Non ho molta speranza che il vescovo lo autorizzi.»

«Come sarebbe a dire? Perché non ha "molta speranza"?» Posò la tazza, rabbuiandosi in viso.

Il sacerdote si infilò una mano in tasca e tirò fuori l'ampolla. La mostrò a Chris. «Vede questa?»

Chris annuì.

«Ho detto a Regan che era acqua santa» spiegò il gesuita «e quando gliene ho spruzzate addosso alcune gocce, lei ha reagito in maniera molto violenta...»

«E allora?»

«Non è acqua santa. È acqua del rubinetto.»

«Forse ci sono dei demoni che non sanno in cosa consista la differenza.»

«Signora MacNeil, lei è proprio convinta che in sua figlia ci sia un demone?»

«Io credo che dentro di Regan ci sia qualcosa che sta cercando di uccidermela, padre Karras. E il fatto che questo qualcosa sappia o no distinguere la piscia dall'acqua non mi pare che abbia molta importanza, agli effetti pratici. Scusi tanto, ma lei mi ha chiesto la mia opinione.» Smorzò con un gesto rabbioso la sigaretta. «E poi, che differenza c'è tra l'acqua del rubinetto e l'acqua santa?»

«L'acqua santa è benedetta.»

«Capirai... La gran cosa, padre! In conclusione, cosa mi dice? Niente esorcismo?»

«Senta, signora... In fin dei conti, ho appena cominciato a esaminare il caso» ribatté Karras, riscaldandosi a sua volta. «La Chiesa ha i suoi princìpi, ai quali bisogna adeguarsi. E bisogna adeguarsi per un'ottima ragione: per stare alla larga da tutto quel pattume di superstizioni che da secoli la gente continua ad appioppare al cattolicesimo. Vedasi i preti che "levitano", per esempio, o le statue della Madonna che si dice piangano il Venerdì Santo e le altre feste comandate! Grazie assai, io campo benissimo anche senza apportare il mio contributo personale a cose del genere!»

«Gradirebbe una pilloletta di Librium, padre?»

«Scusi tanto, ma lei mi ha chiesto la mia opinione!»

«E l'ho avuta!»

Karras tirò fuori le sigarette.

«Ne dia una anche a me» disse Chris con voce roca.

Le tese il pacchetto. Lei sfilò la sigaretta. Egli se ne infilò una tra le labbra e le accese tutte e due. Entrambi esalarono la prima boccata con un profondo sospiro e poi si rilassarono, appoggiandosi al tavolo.

«Mi scusi» disse il gesuita sottovoce.

«Queste sigarette senza filtro finiranno col portarla alla tomba, padre...»

Egli giocherellò col pacchetto, facendo frusciare il cellophane. «Ora le spiego quali sono i segni che in casi come questo la Chiesa può eventualmente accettare. Uno è il fatto che il soggetto parli una lingua che prima non conosceva affatto. Mai studiata. E su questo io sto lavorando. Devo analizzare i nastri magnetici; vedremo cosa ne ricavo. Poi viene la chiaroveggenza, sebbene oggi si tenda ad infirmarne la validità, visto che spesso si tratta in realtà di telepatia, di percezioni extra sensoriali.»

«Lei crede a queste sciocchezze?» domandò Chris, con espressione scettica.

Il sacerdote la guardò. Capì che lei diceva sul serio. Proseguì la sua spiegazione: «Infine, abbiamo le manifestazioni di poteri che vanno oltre le normali capacità del soggetto, tenuto conto della sua età e di tutti gli altri fattori. Qui il campo è molto vasto e può includere qualsiasi cosa che risulti misteriosa.»

«Bene, che mi dice allora di quei colpi sulle pareti?»

«Preso singolarmente, il fenomeno non ha valore.»

«E la faccenda che Regan andava su e giù nell'aria, come se schizzasse dal letto?»

«Non basta.»

«Senta, e... e quelle cose sulla pelle?»

«Quali cose?»

«Non gliel'ho detto?»

«Detto cosa, per piacere?»

«È successo mentre era in clinica» spiegò Chris. «Dunque, erano... ecco...» Con un dito si tracciò delle linee sul petto. «Come delle lettere dell'alfabeto. Le comparivano sul petto, poi scomparivano. Così, da un minuto all'altro.»

Il gesuita aggrottò la fronte. «Ha detto "lettere"? Non parole?»

«No, niente parole. Soltanto una M un paio di volte, e poi una L.»

«Ha visto lei, con i suoi occhi?»

«No, io no. Me l'hanno detto.»

«Chi gliel'ha detto?»

«I medici della clinica. Vedrà, lo troverà scritto in quelle carte che le manderanno. È vero, non è una bugia.»

«Sì, certo. Ma anche questo è un fenomeno naturale.»

«Ah, sì, eh? Dove? Tra i marziani?» domandò Chris, incredula.

Karras scosse la testa. «Ho letto di casi del genere in varie riviste mediche. Ne ricordo uno, riferito da uno psichiatra di non so quale casa di pena. Uno dei suoi pazienti, un detenuto, era capace di entrare volontariamente in trance e di farsi apparire sulla pelle i segni dello zodiaco.» Con un gesto indicò il proprio petto. «La pelle si sollevava.»

«Caspita, padre, con lei i miracoli non hanno mica la vita facile!»

«Una volta fu fatto un esperimento curioso» continuò Karras, pazientemente. «Il soggetto fu ipnotizzato, posto in stato di trance, dopo di che gli furono praticate due incisioni chirurgiche, una su ciascun braccio. Gli fu detto che dal braccio sinistro sarebbe uscito del sangue e dal braccio destro no. Bene: il braccio sinistro sanguinò, quello destro non sanguinò. La mente del soggetto ebbe il potere di controllare il flusso del sangue. Come questo avvenga non si sa, naturalmente, ma fatto sta che avviene. Quando si tratta di rilievi arrossati, come ad esempio nel caso del detenuto di cui le ho detto o di Regan, succede pressappoco la stessa cosa: l'inconscio controlla l'affluire del sangue alla pelle, mandandone di più in quelle parti dove vuole che si produca il gonfiore. Ed ecco come si configurano i disegni, le lettere dell'alfabeto, e via dicendo. Un fenomeno misterioso, d'accordo, ma un fenomeno che non si può certo definire soprannaturale.»

«Lo sa, padre, che lei è un osso duro?»

Il gesuita si picchierellò gli incisivi con l'unghia del pollice. «Le voglio raccontare una cosa che forse l'aiuterà a capire» disse infine. «La Chiesa... Io non c'entro, badi bene, ho detto la Chiesa, tempo fa indirizzò una raccomandazione agli esorcisti. L'ho letta la scorsa notte. In questa raccomandazione è detto che la maggior parte delle persone convinte di essere ossesse, o che gli altri credono ossesse, hanno assai più bisogno di un medico che non di un esorcista. Parole testuali, le faccio notare.» Fissò Chris negli occhi. «Saprebbe indovinare quando fu impartita questa raccomandazione?»

«No. Quando?»

«Nel millecinquecentoottantatré!»

Stupita, Chris sgranò gli occhi. Dopo aver riflettuto per un po', mormorò: «Già, il sedicesimo secolo: tempi brutti, per le streghe!».

Il gesuita si alzò in piedi. «Mi dia tempo, signora MacNeil, mi lasci studiare la documentazione della clinica.»

Chris annuì.

«Nel frattempo» proseguì Karras «mi occuperò delle registrazioni. Porterò i nastri all'Istituto di lingue e glottologia. Può darsi che quei suoni incomprensibili siano parole di qualche lingua sconosciuta. Io ne dubito, ma non si sa mai. Inoltre, confrontando lo stile, il modo di esprimersi delle varie personalità... si potranno trarre delle conclusioni. Se lo stile è sempre lo stesso, si può ritenere con certezza che la bambina non è ossessa.»

«E, in questo caso, che altro potremmo fare?...» domandò Chris ansiosamente.

Il gesuita scrutò quegli occhi. Occhi in cui si leggeva la ribellione. Teme che sua figlia non sia ossessa! Pensò a Dennings. In tutta la faccenda c'era qualcosa che non quadrava. Qualcosa di grave. Di molto grave. «Mi rincresce d'importunare, ma potrei chiederle in prestito la sua automobile?»

Chris fissava tristemente il pavimento. «Può chiedermi in prestito la mia vita, se le occorre...» mormorò. «Basta che me la riporti, la macchina, per giovedì. Non si sa mai, potrei averne bisogno.»

Col cuore dolorante, Karras guardò quella testa china, quella creatura derelitta. Desiderava tanto prenderle la mano, dirle che tutto sarebbe finito bene. Ma come?

«Aspetti, vado a prenderle le chiavi.»

Damien Karras la guardò allontanarsi vacillante come una preghiera senza speranza.

Dopo che Chris gli ebbe consegnate le chiavi della macchina, il religioso tornò alla residenza dei gesuiti a piedi.

Lasciò nella sua stanza il registratore e prese invece tutte le bobine con la voce di Regan. Poi uscì di nuovo e percorse il tratto di strada fin dove era parcheggiata l'automobile dell'attrice.

Mentre sedeva al volante udì la voce di Karl che lo chiamava dalla porta della casa: «Padre Karras!». Si voltò a guardare. Karl stava scendendo gli scalini infilandosi alla svelta la giacca e facendo segno di aspettarlo. «Padre Karras! Un momento!»

Il gesuita si chinò di lato e abbassò il cristallo del finestrino opposto. Karl infilò la testa dentro. «Da che parte va, padre?»

«Verso il Du Pont Circle.».

«Oh, ottimo! Mi darebbe un passaggio, padre? Le rincresce?»

«Con piacere. Salti su.»

«Molto gentile da parte sua.»

Karras mise in moto. «Le farà bene uscire un poco.»

«Sì. Vado al cinema. Un bel film.»

Karras tolse il freno e la macchina schizzò via.

Per un po' nessuno dei due disse una parola. Il gesuita era preoccupato, dibatteva dentro di sé le risposte. Ossessione? Impossibile. L'acqua santa... Tuttavia...

«Karl, lei lo conosceva bene, il signor Dennings?»

Gli occhi fissi sul parabrezza, Karl annuì con un rigido cenno del capo. «Sì, lo conoscevo.»

«Quando Regan... quando Regan sembra trasformarsi in Dennings, lei ha l'impressione che la bambina sia veramente lui?»

Un lungo silenzio. Poi, un piatto e incolore "sì".

Il gesuita tentennò la testa, tormentato dall'incertezza.

Non dissero altro finché non arrivarono al Du Pont Circle. Qui un semaforo li bloccò.

«Io scendo qui, padre» disse Karl aprendo lo sportello. «Prendo un autobus.» Scese e infilò di nuovo la testa nel finestrino. «Grazie, grazie infinite, padre. Molto gentile, grazie.»

Si fermò sul salvagente in mezzo alla strada e aspettò che la luce del semaforo cambiasse. Sorrise e fece un cenno con la mano quando la macchina si rimise in moto. La seguì con gli occhi finché non la vide finalmente svoltare l'angolo all'imbocco della Massachusetts Avenue. Corse a una fermata, salì su un autobus. Comprò un biglietto cumulativo. Cambiò autobus. Chiuso nel suo silenzio, scese quando finalmente il veicolo attraversò uno squallido quartiere di case popolari nel settore nord-est della città. Fece a piedi un tratto di strada e entrò nel portone di un vecchio casamento, che pareva stesse per crollare da un momento all'altro.

Ristette un istante ai piedi della scala buia in cui stagnavano acri odori di cucina. Da sopra, giungeva il pianto insistente di un bimbo in fasce. Egli chinò il capo. Dallo zoccolo di legno spuntò fuori uno scarafaggio che schizzò zigzagando attraverso un gradino per andare a nascondersi dall'altra parte. Karl si afferrò alla ringhiera e per un momento fu lì lì per volgere le spalle e tornare indietro, ma poi scosse la testa e cominciò a salire. Ogni scalino di legno gemette sotto il suo piede, con uno scricchiolio lamentoso che suonava come un monito.

Arrivato al secondo piano, si avvicinò a una porta seminascosta in un andito oscuro e per un buon momento rimase là fermo, una mano poggiata sullo stipite. Guardò la parete: la tinta cadeva a pellicine. Nicky e Ellen, lesse, scarabocchiato a matita. Sotto, una data e un cuore, al centro del quale l'intonaco era scrostato.

Karl premette il pulsante del campanello e attese, testa bassa. Dall'interno gli giunse il cigolio delle molle di un letto, un borbottio irritato. Poi un passo che si avvicinava. Un passo irregolare, il pesante martellare dell'alta suola di una scarpa ortopedica.

Improvvisamente la porta si aprì quel tanto che permetteva la catena di sicurezza tesa al massimo. Una donna in sottoveste guardò fuori attraverso la stretta apertura, una donna dallo sguardo torvo, con la sigaretta che le pendeva dall'angolo della bocca.

«Ah, sei tu» disse con voce soffocata. Tolse la catena.

Karl incontrò quegli occhi sfuggenti che erano granito, che erano selvaggi, che erano pozzi di dolore e di vergogna. Sfiorò con lo sguardo la piega dissoluta delle labbra, il volto devastato: tutto ciò che restava di una gioventù e di una bellezza sepolte vive in migliaia di camere di motel equivoci, nei mille risvegli da sonni senza pace con un grido strozzato in gola al ricordo di una felicità perduta.

«Spicciati, mandalo a farsi fottere!» Una voce aspra d'uomo dall'interno dell'appartamento. Voce impastata. L'amico del cuore.

La ragazza voltò la testa. Con tono aspro, gridò: «Piantala, non rompere le scatole. È papà!».

Tornò a voltarsi verso Karl. «È sbronzo, papà. Meglio che tu non entri.»

Karl annuì.

Lo sguardo della ragazza seguì la mano del padre mentre egli la portava, dietro, alla tasca dei pantaloni per tirare fuori il portafogli.

«Come sta la mamma?» domandò lei, tirando boccate dalla sigaretta, gli occhi sempre fissi sulle mani che frugavano nel portafogli, che tiravano fuori delle banconote da dieci dollari.

«Sta bene. Tua madre sta bene.» Nient'altro.

Mentre egli stava per porgerle il denaro, la ragazza cominciò a tossire convulsamente. Si portò la mano alla bocca. «Schifose sigarette!» borbottò con voce strozzata, tra un colpo di tosse e un altro.

Karl fissò il braccio marcato dai forellini delle punture.

«Grazie, papà.»

Sentì che gli toglieva i soldi dalle dita.

«Gesù, ti sbrighi sì o no?» ringhiò l'invisibile amico del cuore.

«Scusa, papà, ma sarà meglio tagliar corto... Ti rincresce? Lo sai com'è lui, quando gli gira...»

«Elvira...» Allungando una mano nel vano della porta, Karl l'afferrò improvvisamente per il polso. «A New York c'è una nuova clinica, adesso...» le sussurrò con tono implorante.

Con una smorfia, lei cercò di liberarsi dalla stretta. «Oh, lascia perdere!...»

«Ti ci mando! Pago io. Ti guariranno, vedrai. Non andrai in prigione. È una...»

«Oh, Signore! Piantala, papà!» strillò istericamente la ragazza, liberandosi con uno strattone.

«No, Stammi a sentire, ti prego! È una...»

Lei gli sbatté la porta in faccia.

Immobile nel corridoio oscuro, tomba silenziosa delle sue speranze, Karl fissò quella porta chiusa. Alla fine chinò la testa, calandosi nella sua muta sofferenza. Dall'interno gli giunse il suono soffocato della conversazione tra i due. Poi un riso di donna, cinico, squillante. Seguito da un attacco di tosse.

Karl si voltò e sentì come una stilettata al cuore: il tenente Kinderman gli sbarrava la strada.

«Forse adesso sarà disposto a parlare, signor Engstrom» disse ansimando il poliziotto, le mani affondate nelle tasche del cappotto. Gli occhi tristi. «Forse adesso potremo parlare...»

 

II

 

Padre Damien Karras si trovava nell'Istituto di lingue e glottologia, più precisamente nell'ufficio del direttore, un uomo rotondetto dai capelli d'argento.

Aveva suddiviso il nastro magnetico in vari rotolini, separando accuratamente le conversazioni a seconda delle personalità. Dopo aver inserito nel registratore la prima bobina, premette il pulsante dell'ascolto e si tirò indietro. La voce febbrile gracchiò la tiritera incomprensibile.

«Che cos'è, Frank? È una lingua?» domandò il gesuita, voltandosi verso il direttore. Questi — seduto di sghembo sul bordo della sua scrivania — ascoltò attentamente fino in fondo: alla fine il suo volto esprimeva stupore e curiosità.

«Che cosa bizzarra! Dove l'ha rimediata?»

Karras fermò il registratore. «Oh, sono anni che ce l'ho, da quando ho fatto uno studio su un caso di doppia personalità. Sto scrivendoci sopra una monografia.»

«Ah, capisco.»

«Allora? Che mi dici?»

Il direttore si tolse gli occhiali e mordicchiò soprappensiero la stanghetta di tartaruga. «No, una lingua come questa io non l'ho mai sentita. Non mi pare che appartenga a nessun gruppo linguistico. Tuttavia...» Aggrottò la fronte. Alzò gli occhi per guardare Karras. «Ti dispiace farmi ascoltare un'altra volta?»